Trib.-Milano sez. I – n. 8243 del 2017 Limiti alla responsabilità del chirurgo plastico e consenso informato
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO
PRIMA CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Valentina Boroni ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 63290/2013 promossa da:
B. V. (C.F. …), con il patrocinio dell’avv. D’ARRIGO GIUSEPPA e dell’avv. CARUSO GIUSEPPE (…) (omissis); , elettivamente domiciliato in (omissis) presso il difensore avv. D’ARRIGO GIUSEPPA
ATTORE
contro
C. CENTRO ANALISI M. SPA (C.F. …), con il patrocinio dell’avv. RODOLFI MARCO e dell’avv. , elettivamente domiciliato in (omissis) presso il difensore avv. RODOLFI MARCO S. S. (C.F. …), con il patrocinio dell’avv. BARLASSINA EUGENIO PIETRO e dell’avv. , elettivamente domiciliato in (omissis) presso il difensore avv. BARLASSINA EUGENIO PIETRO
CONVENUTO
SOCIETA’ C. DI ASSICURAZIONI (C.F. …) rappresentato e difeso dall’avv. BONETTA ANGELO e dell’avv. LA MATTINA ANDREA (…) (omissis); ALLAVENA VITTORIO (…) (omissis); elettivamente domiciliato in (omissis) presso il difensore avv. BONETTA ANGELO ORA A. ASS.NI SPA CA. R.D. ASSICURAZIONI E RIASSICURAZIONI SOCIETA’ PER AZIONI (omissis) (C.F. …) rappresentato e difeso dall’avv. LEPRE BRUNA e dell’avv. elettivamente domiciliato in (omissis) presso il difensore avv. LEPRE BRUNA
TERZO CHIAMATO
CONCLUSIONI
Le parti hanno concluso come da fogli depositati alla udienza di precisazione delle conclusioni.
Motivi della decisione
Con atto di citazione notificato il 17.9.2013 B. V. citava dinanzi al Tribunale di Milano il dott. S. S. e il Centro Analisi M. s.p.a. (C.), chiedendone la condanna al risarcimento di tutti i danni patiti a causa dell’intervento di chirurgia estetica eseguito in data 31.5.2007. Deduceva che, essendo intenzionata a migliorare l’aspetto del proprio seno, piccolo e asimmetrico, si era rivolta al convenuto; che quest’ultimo, senza offrire una adeguata descrizione della tipologia dell’intervento né delle possibili complicanze/ conseguenze, aveva proceduto ad effettuare l’intervento di mastoplastica addittiva; che subito dopo la dimissione, l’attrice aveva lamentato una sensazione di anestesia alle areole; che tale fastidiosa sensazione era stata giudicata dal dott. S. temporanea mentre era rimasta a lungo; che in occasione del parto, avvenuto l’anno successivo, l’attrice era stata costretta a scegliere un parto cesareo a causa della insensibilità funzionale che aveva comportato la mancata produzione di ossitocina; che anche l’allattamento era stato pregiudicato da tale insensibilità che in ogni caso provocava gravi disagi alla attrice sotto il profilo sessuale; che l’intera situazione aveva provocato nella attrice una profonda depressione. Concludeva, pertanto, chiedendo la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni derivanti dalla mancanza di consenso informato oltre che dalla insensibilità provocata , con vittoria di spese.
Si costituivano entrambi i convenuti, tutti chiedendo preliminarmente l’autorizzazione alla chiamata in causa della propria compagnia di assicurazione, C. Assicurazioni soc. coop. Spa e Ca. Assicurazioni spa ( poi A. assicurazioni spa). Nel merito il primo negava ogni responsabilità ed allegava di aver compiutamente informato l’attrice dell’intervento chirurgico eseguito; il secondo lamentava anche la propria estraneità ai fatti di causa avendo soltanto posto a disposizione del dott. S. la sala operatoria e le mere prestazioni “alberghiere” con riguardo alle quali alcuna censura era stata mossa dalla attrice.
Le terze chiamate in causa si costituivano aderendo alle difese svolte dai rispettivi assicurati ed evidenziando i limiti di operatività delle polizze. L’istruttoria si articolava nell’acquisizione dei documenti prodotti dalle parti e nell’espletamento di una c.t.u. medico legale. All’esito, respinte le richieste di istruttoria orale, sulle conclusioni di cui ai rispettivi atti introduttivi, riassunte nei fogli di precisazione delle conclusioni depositati all’udienza del 20.12.2016 , la causa veniva decisa all’esito della concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.
Le domande spiegate da B. V. sono infondate e devono essere rigettate per i motivi che seguono. In via generale, è opportuno richiamare il consolidato orientamento della Corte di Cassazione secondo il quale “in tema di responsabilità civile nell’attività medico-chirurgica, ove sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e/o del medico per l’inesatto adempimento della prestazione sanitaria, il danneggiato deve fornire la prova del contratto e dell’aggravamento della situazione patologica (o dell’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento) e del relativo nesso di causalità con l’azione o l’omissione dei sanitari, secondo il criterio, ispirato alla regola della normalità causale, del “più probabile che non”, restando a carico dell’obbligato – sia esso il sanitario o la struttura – la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinali da un evento imprevisto e imprevedibile” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 975 del 16/0 1/2009). Con particolare riferimento alla chirurgia estetica, si osserva che, a prescindere dalla qualificazione dell’obbligazione in esame come di mezzi o di risultato (cfr. sul punto Cass. 10014/1994 che propende per la qualificazione come obbligazione di risultato e Cass. 12253/1997 che qualifica l’obbligazione del chirurgo estetico come obbligazione di mezzi), è indubbio che chi si rivolge ad un chirurgo plastico lo fa per finalità spesso esclusivamente estetiche e, dunque, per rimuovere un difetto, e per raggiungere un determinato risultato, e non per curare una malattia. Ne consegue che il risultato rappresentato dal miglioramento estetico dell’aspetto del paziente non è solo un motivo, ma entra a far parte del nucleo causale del contratto, e ne determina la natura. La natura del tiolo di responsabilità nel caso che occupa il Tribunale è senza alcun dubbio di carattere contrattuale; l’attrice risulta avere contattato il dott. S. direttamente stipulando con questi un vero e proprio contratto d’opera professionale; la struttura sanitaria ove è stato eseguito l’intervento risulta essere stata individuata dal dott. S. e quest’ultimo ha prestato ivi la propria opera professionale in favore della attrice per precisi e precedenti accordi contrattuali e non in regime di
servizio sanitario nazionale. Allo stesso modo il contatto con la struttura sanitaria C. è avvenuto sulla base di un preciso accordo contrattuale che ha determinato l’accettazione della paziente nella struttura e l’affidamento da parte della paziente nella corretta esecuzione delle prestazioni di cura ed alberghiere in essa poste in essere.
Appare quindi del tutto fuorviante la dissertazione effettuata dalla parte convenuta C. in ordine alla natura extracontrattuale della responsabilità sanitaria a seguito del decreto Balduzzi ( e della recente riforma della responsabilità delle professioni sanitarie). Orbene, quanto ai fatti emersi nel coro del processo, la relazione tecnica redatta dal dott. G. B. (medico legale) e dalla dott.ssa F. B. (specialista in chirurgia plastica), depositata il 10.10.2015 – le cui conclusioni meritano di essere pienamente condivise, in quanto basate su un completo esame anamnestico e su un obiettivo, approfondito e coerente studio della documentazione medica prodotta – ha consentito di escludere la responsabilità del medico convenuto. In particolare, dalla relazione di c.t.u. emerge che il dott. S. visitava la sig.ra V. in data 16.5.2007, come da certificazione agli atti, e poneva quale indicazione quella dell’intervento di mastoplastica addittiva; in quella sede la sig.ra V. sottoscriveva un modello di consenso informato relativo all’anestesia ed anche un modello di consenso informato relativo all’intervento da praticarsi: in tale attestazione si legge:
“ Autorizzazione all’intervento: la sottoscritta B. V. autorizza il Dott. S. S. ad eseguire sulla mia persona l’intervento di mastoplastica additiva. Rilascerò la presente autorizzazione essendo stato informato dal Dott. S. di tutte le conseguenze, dei rischi ed eventuali effetti collaterali che l’intervento di cui sopra potrebbe comportare e dei quali mi sono reso pienamente conto. In particolare sono stato messo al corrente che, non essendo la chirurgia plastica una scienza esatta, per oggettive difficoltà nel poter prevedere la reazione che tessuti vivi andranno in seguito all’intervento di cui sopra per imprevedibili reazioni dell’organismo il risultato che si otterrà potrebbe non essere esattamente quello da me desiderato … Confermo inoltre di aver ricevuto dal Dott…………….. informazioni esaurienti a tutte le mie domande e di aver avuto chiarificazioni su tutto l’intervento dalla fase pre operatoria a quella postoperatoria nonché sugli eventuali rischi e complicazioni di ordine anestesiologico, infettivo, cicatriziale, neurologico. In particolare in riferimento all’intervento sono stato informato delle conseguenze più frequenti: …………………… soddisfatto delle informazioni ricevute concedo il mio assenso all’intervento di cui sopra autorizzando il Dott …………………… a modificare parzialmente la tecnica chirurgica concordata, quando ciò si rilevi necessario per il miglior esito dell’intervento stesso … NB è assolutamente indispensabile che la paziente si presenti ai controlli postoperatori programmati a sette, trenta e novanta giorni dall’intervento. La paziente si impegna a seguire scrupolosamente tale indicazione … (Manca firma del medico) … Il sottoscritto B. V. sollevo il Dott. S. S. da qualsiasi rivalsa economica giudiziaria da imputarsi a insufficiente risultato prefissato dallo stesso …”. In quest’ultimo punto risulta annotata la firma della Paziente e del Medico.”. Quindi dalla cartella clinica in atti si evince che l’intervento di mastoplastica addittiva venne posto in essere il giorno 1.6.2007 e venne preceduto dalla sottoscrizione di un secondo modello di consenso informato che viene così ritrascritto : ““… Accetto di essere sottoposta ad intervento chirurgico di mastoplastica additiva. Dichiaro di essere stato informato dal Dott. S. in merito all’esecuzione dell’intervento stesso e alle varianti che dovessero eventualmente rendersi necessarie; le complicanze derivanti da tale tipo di intervento sono: ……….NON SEGNALATE… …”. Dalla descrizione dell’intervento chirurgico di mastoplastica additiva, eseguito il 31 maggio 2007 dal Dott. S., infine si legge: “… Incisione preareolare si scende per via smussa fino a livello sotto muscolare si realizza tasca di dimensioni adeguate. Emostasi. Si applica protesi 200 cc per lato, sutura per strati e intradermica. Medicazione …”.
Infine l’esame obiettivo della attrice ha dato i seguenti risultati:
“In data odierna la paziente presenta:
- Esiti di intervento di mastoplastica additiva bilaterale (Foto 1/2/3/4/5/6/7/8):
- A sinistra, distanza giugulo/areola cm 16 e giugulo/capezzolo cm 18;
- A destra, distanza giugulo/areola cm 17 e giugulo/capezzolo cm 19;
- Distanza areola/solco sottomammario bilateralmente cm 6;
- Areola tonde, con diametro di cm 4,5 , bilateralmente (Foto 8);
- Cicatrice chirurgica da accesso operatorio laterale (ore 6/12) bilateralmente e posizionamento di protesi dual-plane (Foto 8);
- Cicatrici piane, chiare, regolari;
- Area di ipoestesia di cm 2 periareolare laterale, all’esternoi della cicatrice, che migliora allontanandosene;
- Capezzoli sensibili
Quanto alla metodica seguita CTU hanno osservato che “l’accesso periareolare, in cui l’incisione si colloca al margine fra l’areola e la cute circostante, sembra coniugare la quasi invisibilità della cicatrice con la migliore aggredibilità del piano sottomuscolare. Solitamente tale incisione si esegue paragonando l’areola al quadrante di un orologio – dalla ore tre alle ore sei. Tale schema è quello che, nell’esperienza della maggior parte dei chirurghi plastici, determina una minore quantità di effetti collaterali neurologici. Bisogna ricordare infatti che la zona è innervata da ramuscoli sensitivi a partenza dal IV e V nervo intercostale, la cui sezione determina ipo/disestesia nell’area del complesso areola capezzolo. Tale complicanza – poiché di questa si tratta – viene regolarmente citata nei consensi informati che le pazienti siglano. Nella gran parte dei casi, la branca laterale del IV nervo intercostale penetra nella ghiandola all’altezza del margine laterale del muscolo grande pettorale, per decorrere poi piuttosto superficialmente sino a raggiungere l’areola. Questo non esclude la presenza di ramuscoli ectopici la cui sezione inavvertita possa causare una disestesia del NAC. Però, mantenendo l’incisione fra le ore tre e le ore nove, per solito questo accade con minore frequenza. La tecnica ad incisione laterale (da ore dodici ad ore sei e viceversa) è un’alternativa prevista in letteratura ma di uso poco frequente. Questo non significa che sia sbagliata, ma meno condivisibile”. In buona sostanza i CTU hanno evidenziato come l’intervento sia stato eseguito a regola d’arte senza che si possa rilevare alcuna erronea manovra; anche la tipologia di metodica ed il tipo di incisione è stata considerata corretta ancorchè non usuale. La possibilità di provocare lesioni a periferiche neurologiche appare descritta come una possibile conseguenza dell’operazione peraltro non prevedibile perché legata alle particolarità dei tessuti della persona che non possono essere rilevate antecedentemente. I CTU hanno peraltro evidenziato come la sintomatologia e la disestesia
( a distanza di otto anni dall’intervento) sia “sfumata” per poi affermare con netta evidenza che “comunque, al di là di un vissuto soggettivo e della visita specialistica, non esiste agli atti alcuna documentazione oggettiva di tale lesione nervosa”.
Tanto evidenziato sotto il profilo tecnico – ed in assenza di una puntuale contestazione sul punto da parte dei CTP di parte attrice che non hanno individuato invero un preciso profilo di negligenza limitandosi ad osservare che a seguito dell’intervento si fosse manifestata la scasa sensibilità alle areole – non pare sussistere alcun profilo di colpa in capo al medico convenuto.
La labile traccia di disestesia rilevata dai CTU appare compatibile con gli esiti naturali dell’intervento su di un tessuto particolarmente sensibile e comunque fatto non prevedibile. La lievità della disestesia è stata peraltro tale da determinare i CTU a non indicare alcuna percentuale di compromissione alla integrità psicofisica della attrice.
Quest’ultima per il vero lamenta danni derivanti dalla mancata produzione di ossitocina dovuta alla mancanza di sensibilità nella zona areolare, circostanza che avrebbe compromesso la possibilità di partorire con parto naturale ed allattare al seno la propria bambina ( oltre che una forma di depressione).
Tali conseguenze dannose sono state del tutto escluse dai CTU i quali, con motivazione approfondita, hanno evidenziato come da un lato la mancata produzione di ossitocina non dipende esclusivamente dalla zona interessata dall’intervento e dall’altro che le emergenze documentali agli atti dimostrano sia che il parto cesareo fosse dipeso da altre scelte e cause sia che l’attrice ebbe modo di allattare al seno la propria figlia ancorché integrando con latte artificiale. Nessuna traccia è stata invece rinvenuta quanto alla allegata depressione.
Dalle risultanze della c.t.u., quindi, pienamente condivise da questo giudice, emerge chiaramente come le prestazioni sanitarie eseguite dal dott. S. sono state conformi alle regole di prudenza, diligenza e perizia richieste dal caso concreto. Con riferimento alla dedotta lesione del diritto al consenso informato si osserva quanto segue.
Il consenso informato costituisce, di norma, legittimazione e fondamento del trattamento sanitario. Senza il consenso informato l’intervento del medico è – al di fuori dei casi di trattamento sanitario per legge obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità – sicuramente illecito, anche quando sia nell’interesse del paziente.
La responsabilità del sanitario per violazione dell’obbligo del consenso informato discende a) dalla condotta omissiva tenuta in relazione all’adempimento dell’obbligo di informazione in ordine alle prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente sia sottoposto b) dal verificarsi – in conseguenza dell’esecuzione del trattamento stesso, e, quindi, in forza di un nesso di causalità con essa – di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente.
Non assume, invece, alcuna influenza, ai fini della sussistenza dell’illecito per violazione del consenso informato, se il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno. Ciò perché, sotto questo profilo, ciò che rileva è che il paziente, a causa del deficit di informazione, non sia stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni, consumandosi, nei suoi confronti, una lesione di quella dignità che connota l’esistenza nei momenti cruciali della sofferenza, fisica e psichica (v. anche Cass. 28.7.2011 n. 16543).
Sul punto la Cassazione con numerose decisioni (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 1950/1967, 1773/1981, 9705/1997 in tema proprio di chirurgia estetica, 5444/2006), ha affermato che “la mancata richiesta del consenso costituisce autonoma fonte di responsabilità qualora dall’intervento scaturiscano effetti lesivi per il paziente, per cui nessun rilievo può avere il fatto che l’intervento medesimo sia stato eseguito in modo corretto” (così Cass., n. 9374/1997).
In ordine alle modalità e ai caratteri del consenso, è stato affermato che il consenso deve essere, anzitutto, personale, deve, quindi essere prestato dal paziente (ad esclusione evidentemente dei casi
di incapacità di intendere e volere del paziente); deve poi essere specifico e esplicito (Cass. 23 maggio 2001, n. 7027); deve essere, inoltre, reale ed effettivo, sicché non è consentito il consenso presunto; e deve essere, altresì, anche attuale, nei casi in cui ciò sia possibile (v. Cass. 16 ottobre 2007, n. 21748).
In merito all’onere della prova, non appare inutile ricordare che grava sul paziente l’onere di dimostrare: i) la sussistenza del nesso causale tra la lesione del suo diritto alla autodeterminazione e la lesione della salute derivante da una prevedibile conseguenza di un intervento chirurgico correttamente eseguito ma non correttamente assentito dal paziente (dovendo il paziente provare, anche mediante presunzioni, che ove adeguatamente informato avrebbe rifiutato l’intervento); ii) la sussistenza del danno derivante dalla mancata informazione, danno declinabile sia in termini di lesione del diritto alla salute (per le conseguenze invalidanti derivate dall’intervento) sia in termini di lesione del diritto all’autodeterminazione (purché ne sia derivato un pregiudizio non patrimoniale di apprezzabile entità).
Nel caso in esame l’attrice non ha assolto all’onere sulla stessa gravante. In particolare, dall’istruttoria espletata è emerso: che B. V., in conseguenza all’intervento di mastoplastica addittiva non ha subito alcun danno alla salute (e che vi era stato un buon risultato estetico); che l’attrice non ha subito alcun pregiudizio di apprezzabile entità al suo diritto all’autodeterminazione atteso che la stessa, intenzionata ad eseguire un intervento di chirurgia migliorativa dell’aspetto del proprio seno, era stata posta a conoscenza della tipologia di intervento e delle possibili conseguenze, tra le quali quelle di una possibile complicanza di carattere neurologico; che la particolare tipologia di intervento fu scelta dalla attrice espressamente.
Né peraltro risulta che l’attrice, se avesse conosciuto in dettaglio l’evento di disestesia concretamente possibile, avrebbe rinunziato all’intervento. Dunque la domanda fondata sulla lesione del consenso informato risulta infondata innanzitutto in ragione dell’assenza di prova di una lesione del diritto all’autodeterminazione – si ritiene che il convenuto abbia provato l’adempimento relativo all’obbligazione di compiutamente informare l’attrice dei rischi e delle complicazioni legate all’intervento eseguito. Anche per questi motivi, la domanda risarcitoria spiegata dall’attrice deve essere rigettata.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. Con riferimento alle spese delle assicurazioni terze chiamate, si osserva che le dette spese devono essere poste a carico dell’attrice atteso che la chiamata in causa si è resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dalla T. e queste sono risultate infondate (cfr. sul punto, Cass. civ. sez 3 n. 12301 del 2005 e Cass. 7431/2012). Le spese di c.t.u., liquidate con separato provvedimento, devono essere poste definitivamente a carico di parte attrice.
P.Q.M.
Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, istanza od eccezione disattesa, così provvede: a) Rigetta le domande formulate da B. V.; b) Condanna B. V. al pagamento, in favore di S. S., C. spa, A. Assicurazioni s.p.a. (già C. assicurazioni spa) e Società C. Assicurazioni delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 4.500,00 per ciascuna parte, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge;
c) Pone le spese di c.t.u., già liquidate con separato provvedimento, definitivamente a carico dell’attrice.
Milano, 21 luglio 2017 Il Giudice
Valentina Boroni